26 febbraio 2009

Creare un sito Internet: i primi passi

keywords
In ottica SEO e di Content Management quali sono i primi passi da compiere nell'avviamento di un nuovo sito Internet? Quali le operazioni preliminari sui cui porre l'attenzione?
Anzitutto bisogna conoscere il prodotto che si vuole rendere pubblico-pubblicizzare, fare dunque un'analisi di mercato per l'attuazione di una strategia di marketing, in questo caso web marketing, per la quale oltre alla creatività, si deve contemplare le tematiche SEO.

In poche parole bisogna realizzare un prospetto che risponda alle seguenti domande: ha senso un sito Web per la mia attività? Ad esempio un muratore potrebbe sollevare dei dubbi. Cosa vendo? Qual è il mio mercato di rifermento? Quali sono i miei concorrenti? Hanno già un sito Internet? Come lo usano? E' un sito vetrina o offre anche servizi? Quali sono i loro dati di traffico? Qual è il loro pagerank e la loro popolarità? Quali sono invece i nostri obiettivi di traffico?

All'analisi del proprio prodotto e della concorrenza seguono lavori di ideazione, creazione di disegni e bozze per la realizzazione di un Layout del sito Internet che sia tanto piacevole a livello estetico quanto chiaro, cercando di trovare il giusto compromesso tra grafica e usabilità, guardando anche alle soluzioni dei siti concorrenti e cercando di individuare le loro ipotetiche logiche.
Ovviamente l'ideale sarebbe che l'aspetto grafico sia seguito da un Web Designer e l'aspetto tecnico, riguardante il linguaggio di programmazione, sia sviluppato da un programmatore.
Se queste due figure riescono a relazionarsi in modo efficace al Web Master, o comunque a colui che si occupa della gestione dei contenuti e del web marketing, allora il lavoro risulterà molto agevole e soprattutto potrà portare giovamento ai risultati.

Quando abbiamo una bozza del sito tra le mani e pensiamo che la struttura e l'estetica possano funzionare dobbiamo quindi riempirlo un po' alla volta di contenuti, adattando e aggiustando il layout del sito secondo le esigenze che si palesano di volta in volta, individuando grazie alla ricerca di mercato già effettuata quali possono essere le keywords, gli argomenti e i temi per i quali i nostri utenti potranno trovarci e per le quali offriremo realmente informazioni dettagliate o servizi che devono essere possibilmente trovati con pochissimi click, magari con solo quello che esce dalle SERP (pagine dei risultati dei motori di ricerca).
E' importante conoscere per questo anche i trends delle parole ricercate per comporre una scala di valore da assegnare alle keywords. Non meno importante il nome del sito che non sarebbe male se contenesse una parola chiave.

A ciò si aggiunge l'individuazione di siti, blog, forum che trattano gli stessi argomenti, non solo concorrenti, per richiedere eventualmente affiliazioni, inbound link-backlink, magari registrandosi e commentando notizie su quei siti che lo permettono con link e banner che rimandano al proprio sito.
I risultati vanno sempre valutati nel medio periodo, dai 6 mesi in su, se non si vogliono usare sistemi quali AdWords che aggirano il nodo del posizionamento naturale: gli spider dei motori di ricerca hanno i loro tempi!
Quella di cui tratto è la fase di start-up di un sito Internet, le operazioni da effettuare nello step successivo, comunque derivanti dagli studi e ricerche iniziali, sono tutt'altro che irrilevanti.

C'è un bisogno di aggiornamento costante relativo al Know How visto la relativa liquidità e gioventù del mondo SEO SEM (soprattutto in Italia, dove la materia ha avuto uno sviluppo serio solo negli ultimissimi anni, arriviamo sempre in ritardo del resto).
Di certo nella creazione di un sito Internet bisogna partire con il piede giusto visto i tempi dei motori di ricerca, e se una correzione di rotta è sempre possibile è anche vero che bisognerebbe evitare che il sito necessiti di un'azione di questo tipo.
Dopotutto lo sviluppo di un progetto, in qualsiasi campo, dalla meccanica ad Internet presuppone sempre lo stesso approccio e generalmente un simile procedimento razionale-strategico.

19 febbraio 2009

AdWords e posizionamento naturale

click hand
Il tool di Adwords permette di dirottare sul proprio sito gli utenti che effettuano ricerche su Google o sui suoi siti partner attraverso una scelta oculata di parole chiave ed un investimento mensile variabile.
Per ogni click che l'annuncio sponsorizzato riceve il cliente di Adwords pagherà una cifra derivante dall'offerta massima proposta attraverso l'opzione di scelta del CPC (Cost per Click), cioè fino a quanto si è disposti a spendere per una parola chiave.

Così come avviene ad esempio su eBay con il sistema del rilancio automatico dell'offerta impostando il limite massimo, Adwords farà spendere al cliente la cifra più bassa utile ad aggiudicarsi la prima posizione, salendo via via fino all'offerta massima che si è inserita.
Per coloro che non ci avevano mai fatto caso i link di Adwords sono quelli che appaiono nella pagina dei risultati di google in prima posizione e sulla destra, riconoscibili per la dicitura Link sponsorizzato.

Bisogna dire però che Adwords volendo offrire comunque un approccio razionale alla questione e avendo a cuore dunque anche le sorti dell'utente, non affida al solo CPC e quindi ai soldi la buona riuscita della campagna Pay per Click (dopo i bambini e i gabbiani gli uccellini fanno invece cip cip).
Per questo motivo affianca al CPC il CTR (Cost Trough Rate), cioè quante volte in percentuale vengono visualizzati i vostri annunci rispetto alle volte che appaiono nei risultati di ricerca. Questo significa che chi avrà un'efficace descrizione sotto il titolo è probabile che sarà cliccato maggiormente. Il rank in Adwords equivale perciò al CPC moltiplicato per il CTR.

Quest'ultimo aspetto ci introduce l'argomento del posizionamento naturale, cioè quello raggiunto grazie ad una user friendly e ottimizzata struttura del sito internet, dei suoi contenuti e dell'eventuale aggiornamento, tutto ciò di cui dovrebbero occuparsi gli specialisti di Seo.
Infatti il titolo, le descrizioni delle pagine, le keywords, la chiarezza e la compatezza dell'url, sono tutti elementi chiave su cui deve porre attenzione colui che si occupa del posizionamento e dell'indicizzazione di un sito Internet.
Ecco che risulta chiaro da questa parentesi nel mondo del web marketing che i due strumenti non sono alternativi (come gli inesperti credono e per questo tendono a pagare per i loro siti un po' alla cieca), uno non esclude l'altro, possono essere bensì complementari.
Chi pensa al medio e al lungo periodo non può tralasciare l'aspetto Seo del proprio sito basandosi solo su campagne Adwords, questo modo di procedere è da considerarsi poco professionale, anche se s'inserisce bene nei contesti imprenditoriali già affermati dove si hanno soldi da spendere, magari si fa attenzione solo all'estetica e non alla funzionalità, puntando spesso ai soli risultati immediati.

Ma volendo essere lapidario penso che se si può spendere tanto si ha anche i soldi per spendere meno, magari trovando una via equilibrata di azione di marketing sfruttando Adwords ma puntando anche all'indicizzazione naturale, cosicché nel lungo periodo eventualmente si potrà abbandonare Adwords.

17 febbraio 2009

Il microcredito di Yunus

Il microcredito di Yunus
Il microcredito nasce da un'idea di Mohammad Yunus, premio Nobel per la Pace nel 2006 e sviluppato a partire dal 1977 in Bangladesh. Yunus circa 30 anni fa ha dato vita ad una nuova concezione di credito fondando la Grameen Bank per cercare di combattere la povertà, ma in che modo?
Se un italiano qualsiasi per ricevere un prestito da una banca deve offrire garanzie su garanzie, avere quindi già un patrimonio alle spalle (nemmeno le idee contano) la Grameen Bank li concede invece ai più poveri senza applicare criteri di solvibilità, ma investendo sul rapporto di fiducia, elemento fondamentale.

Il progetto ha avuto origine in Bangladesh, paese d'origine di Yunus, il termine Grameen è traducibile come aggettivo il cui significato è “del villaggio” quindi banca del villaggio ed è proprio dallo studio di un villaggio in particolare, quello di Jobra, che Yunus ha elaborato la sua teoria secondo la quale la povertà dei suoi abitanti non era dovuta all'incapacità o alla mancanza di idee, ma bensì all'insufficienza di risorse economiche per intraprendere una qualsiasi attività imprenditoriale; nella situazione in cui versavano le famiglie di Jobra il prestito bancario sembrava una soluzione, ma non accettabile a causa degli interessi molto elevati che finivano per soffocare il debitore, in questo quadro si creava perciò uno stallo economico e sociale.
Pensate che il debito contratto da 41 famiglie era di 27 dollari, e per questo debito erano ridotte alla fame! Non strabuzzate gli occhi, per noi è in effetti una cifra ridicola.

La teoria alla base di Grameen Bank non punta a soluzioni accomodanti, ad un'elemosina, ma cerca di alimentare un tessuto sociale e le sue potenzialità.
Significa quindi stimolare le attività imprenditoriali, reinvestire i crediti in nuovi progetti locali, aiutare una comunità ad esprimersi e non ad assimilare un modello di sviluppo importato da qualche paese occidentale che finanzia progetti a macchia di leopardo, valorizzando quindi quelli che sono gli individui ma anche una cultura nel suo complesso.
I beneficiari dei prestiti sono i poveri, ma sulla povertà bisogna stabilire criteri ben definiti e a ciò è molto attenta la Grameen Bank, scongiurando finanziamenti ai meno poveri che altrimenti vanificherebbero gli aiuti a quelli che sono invece alla fame, perché li schiaccerebbero sotto il loro crescente potere economico.

Il denaro non è buono a prescindere, bisogna vedere come viene elargito e chi sono i beneficiari.
Valutare la povertà significa analizzare quello che una comunità ha in termini di risorse primarie, sanità, alfabetizzazione e sistemi di credito. A seconda del grado di sviluppo di questi contesti socio-economici e culturali si possono poi individuare i poveri.
Quello che offre questo tipo di banca non è una soluzione dall'alto immediata ma un percorso di sviluppo per coloro che ne fanno parte e conseguentemente per la comunità nella quale vivono, avendo come orizzonte il medio e lungo periodo per una crescita economica, sociale, scolastica, infrastrutturale e istituzionale. In questo modo anche la banca può trarre profitto perché ha investito su progetti che vengono realmente messi in pratica sul territorio, ha investito sull'economia reale, sulle persone, e soprattutto su gruppi di persone.

Nel progetto di Yunus i prestiti sono stati quindi elargiti alle donne, coloro che non lavoravano, dando vita ad una vera e propria rivoluzione sociale, se prima la donna non aveva poteri all'interno della famiglia, non poteva nemmeno avere un libretto di risparmi, ora può addirittura sviluppare un'attività, produrre reddito, il processo non è stato perciò semplice, il cambiamento è stato culturale oltre che legislativo, ma sta dando i suoi frutti.
I piccoli prestiti diventano un motore per le economie più povere, le donne a volte si aggregano, a volte diventano socie della banca, investono nella pesca, nell'agricoltura, generando una spirale economica positiva del tutto inattesa.

Si crea anche una rete fiduciaria tra i debitori per la quale nel caso in cui uno non riesca a pagare, allora si espongono tutti gli altri, che in questo modo producono un'importante pressione affinché il debitore cerchi di risolvere i suoi problemi in prima persona o con l'aiuto di tutti coloro che insieme a lui hanno un debito (o anche un credito) verso la banca.

Il microcredito si è esteso a moltissime zone del mondo, e oltre alla Grameen Bank altri organismi si stanno spendendo in questo genere di attività, anche nei paesi occidentali dell'Unione Europea. Quest'ultimi infatti non sono esenti da problemi di povertà, di esclusione economica e sociale, si pensi ad esempio alle realtà periferiche delle grandi città, alle ghettizzazioni razziali, ecco perché anche in questo caso il microcredito può essere una valida alternativa (o un supporto) ad un stato del Welfare spesso troppo debole per risolvere queste problematiche.



11 febbraio 2009

Disintossicare la società

soldi, banconote, monete
Ci sarà un momento per la società occidentale in cui sarà inevitabile un processo di disintossicazione culturale e conseguentemente morale e ambientale. Bisogna ora stabilire se ciò avverrà per consapevolezza e quindi azione delle stesse persone o per qualche causa esterna, più o meno traumatica, più o meno dovuta all'irresponsabilità dell'uomo.

Nel primo caso andrebbe formandosi uno scenario in cui ognuno inizia a comprendere razionalmente cosa significa veramente essere uomini all'interno della stessa casa Terra, la domanda infatti è: come trattate casa vostra? Date ogni giorno costanti martellate sui muri portanti? Evidentemente no, se uno sa che la terra è casa sua cerca di fare in modo che funzioni e che duri nel tempo, prova ad andare d'accordo con tutti gli inquilini, preparandosi anche al peggio, gestendo quindi problemi quali quello della fame, dell'approvvigionamento delle risorse, dell'energia, delle riserve, dell'inquinamento, in modo da recare meno danni possibili a se stesso, alla terra e di conseguenza anche agli altri uomini.
Ciò non può avvenire dall'alto, Dio ce ne scampi da un governo mondiale, ma sicuramente come ha sottolineato Obama l'occidente dovrebbe usare il metodo dell'esempio e non quello della minaccia, ciò presuppone però un cambio di politica tutt'altro che dolce, significherebbe nel medio e lungo periodo scontrarsi con le principali lobby e gruppi d'interesse a livello mondiale.

Un piccolo inciso, c'è un gruppo d'interesse che le democrazie tendono a sopravvalutare, quello dei cittadini, che alla prova dei fatti sono in realtà diventati molto meno importanti dei consumatori, non a caso una crisi economica come quella che stiamo vivendo si cerca di risolverla incentivando i consumi con rottamazioni, incentivi (perlomeno in Italia), c'è chi all'estero invece aiuta le imprese ad intraprendere la via degli investimenti, sul futuro, sulle idee. Queste ultime soluzioni almeno posso prospettare una società diversa, un'economia più umana, quindi che dà il giusto peso al reale.
Il livello di consapevolezza in questione non si rende “popolare” da un giorno all'altro, è un atteggiamento che purtroppo è spesso portato avanti con posizioni estreme e parziali solo da associazioni ambientaliste, ma è nelle scuole che deve avvenire la formazione, fin da bambini.

Un dubbio: l'aumento dell'incidenza del cancro è realtà o fantasia? Come mai in Italia nelle donne aumenta e negli uomini diminuisce? Questo argomento lo tratterò in un prossimo articolo in quanto osservando alcuni dati dell'American Cancer Society e della sezione dell'ISS denominata Epidemiologia dei tumori del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute sono venute fuori informazioni a prima vista interessanti.

Tornando al discorso primario (che in realtà non esiste) le religioni monoteiste hanno slegato Dio dalle sue creature, dal mondo, portando dio a sinonimo di celebrazione, di puro e semplice rituale, ma pregare “il mondo per un mondo migliore” non significa fare astrazione, come potevano fare i cosiddetti pagani, significa vedere un mondo migliore, vederlo può voler dire individuare i pilastri su cui si deve fondare un nuovo modo di vivere socialmente accettato e valorizzato.

Siamo ben lontani da queste nobili aspirazioni per via della distorsione mentale che ha provocato nella cultura occidentale il capitalismo estremo fatto di denaro virtuale, di corporation (multinazionali), di PIL che può essere sempre e solo crescente, pena aumento del debito dei singoli paesi rispetto alla moneta prestata che ha invece solo un valore nominale (a tal proposito un approfondimento sul signoraggio sarebbe doveroso), di prodotto che passa in secondo piano rispetto al prodotto nuovo fino a rendersi conto un giorno di non saper più dove mettere il vecchio: “Ops, scusa, a questo non avevo pensato”.
Sarebbe come comprarsi una macchina e cercare di stiparla nel garage: “ma nel garage c'è ancora la vecchia!”
Una battuta: si riciclano meglio i soldi che i rifiuti, anche se la raccolta in entrambi i casi tende comunque ad essere sempre poco differenziata.

Ricordo ad esempio una lezione di economia fatta qualche anno fa all'università, l'argomento era “La responsabilità sociale dell'impresa”, c'erano due docenti, uno era il nostro, il professore ordinario che teneva il corso, l'altro, una donna, esperta del settore, invitata per l'occasione.
Dopo due ore di lezione il quadro che ne era venuto fuori è che i temi quali ambiente, risparmio energetico, sfruttamento manodopera, salute dei dipendenti, esternalità negative sono tutti elementi interessanti e contabilizzabili per un'impresa, ma danno benefici (e non certi per l'impresa) solo nel lungo periodo, quando quello che conta per sopravvivere nel mercato rimane sfornare prodotti a costi sempre inferiori e possibilmente nel breve massimo medio periodo.
Le due logiche (basate solo sul valore del denaro) si scontreranno e vista la concorrenza scorretta di molte aziende quasi tutti propenderanno per la riduzione dei costi come unico obiettivo.
Risultato: nient'altro che belle parole e non a caso solo dopo 4 anni ho risentito parlare pubblicamente di responsabilità sociale dell'impresa, come delle banche, proprio in coincidenza di questa grave crisi che stiamo cercando di attraversare e i cui effetti devono ancora manifestarsi nella loro pienezza.

Per tornare all'inizio se invece tutto rimane così com'è, senza nessun cambiamento sensibile, con le banche, le lobby economiche e finanziarie, quindi il denaro a guidare ogni aspetto della vita degli uomini allora le possibilità di conduzione di una vita decente nel lungo periodo potrebbero essere seriamente intaccate.
Qualcuno dirà che comunque inizieremo a colonizzare tra un centinaio di anni un altro pianeta per cui chi se ne frega della Terra, anche lei diventerà un rifiuto umano, speriamo solo che gli umani non diventino un rifiuto dell'universo.
Forse sono ottimista ma ho visto, studiato e conosciuto uomini che mi hanno dato un'altra idea dell'umanità, non esiste solo l'uomo come forza arrogante e distruttiva dell'universo, ma esistono anche coloro che popolano il mondo come costruttori razionali e lungimiranti, che non conoscono solo l'interesse egoistico, il qui e ora, quelli che comprendono che al di là del tempo e dello spazio prima o poi si faranno i conti ultimi dei costi-benefici e che questi potranno non avere nulla a che spartire con l'affermazione temporale su questa terra.

A quanto pare ho scritto abbastanza affinché la maggior parte dei lettori siano fuggiti prima della fine di questa dissertazione, quasi un flusso di coscienza razionalizzato, così anti-web marketing da essere ben costruito per il web marketing, ho trattato degli argomenti più disparati, ognuno dei quali si potrebbe affrontare studiando e scrivendo enciclopedie intere, ma non ho tempo di farlo per cui questo è quello che ho in dono per voi, o per me, che dir si voglia...

09 febbraio 2009

aNobii e le librerie online

aNobii, nuovo sistema di social network per condividere non più solo esperienze personali, foto, pensieri e video come in Facebook ma cultura e libri.
Proprio la scorsa settimana ho seguito un approfondimento di Repubblica Tv sulle librerie, da quelle fisiche a quelle online, i sostenitori delle prime dicevano che il rapporto face to face con il libraio, quando preparato e colto è unico, ecco che però si dimentica quello che può offrire Internet.

aNobii, società privata con sede in Honk Kong, riempe proprio questo vuoto, cosicché potrete avere consigli su consigli da persone che leggono e segnalano libri per i più svariati motivi e a seconda dei propri interessi. Da non sottovalutare anche come strumento di promozione per le librerie online.

Dunque alla tipicità di molte librerie virtuali presenti sul web che permettono agli utenti di commentare i libri acquistati si aggiunge una rete di persone che decide di proprio pugno di proporre, condividere e discutere le proprie letture con chi vuole, con chi è interessato, non si può non tener conto di un fenomeno culturale di questo tipo, certo il successo in Italia rispetto a Facebook sarà probabilmente inferiore in termini di numeri visto che la lettura non è uno dei passatempi più amati dagli italiani.

04 febbraio 2009

Alternative alla SIAE per la tutela dei diritti d'autore

Siae. Palazzo EurQuali sono le alternative alla Siae? Tra gli addetti ai lavori del mondo musicale, ma anche di quello artistico in generale, si discute spesso del sistema italiano per la tutela dei diritti d'autore basato sostanzialmente sull'organismo della SIAE (Società Italiana degli Autori e degli Editori).
Prima di tutto bisogna dire che se si vuole riconoscere la paternità della propria opera il vecchio sistema della raccomandata contenente il proprio cd, libro, composizione, autoinviata e mai aperta fino all'eventuale contenzioso dovrebbe avere una qualche valenza legale.
Ma oggi grazie ad Internet c'è un metodo molto interessante, veloce e flessibile, quello delle Creative Commons, che permette di registrare le proprie opere dopo averle depositate in un archivio online definendone anche l'uso che ne possono fare coloro che ne vogliono usufruire.

Con questi sistemi è ovvio che si sta solo tutelando la propria musica, si sta dichiarando la paternità, la proprietà, nel caso in cui però qualcuno voglia utilizzare la vostra opera a quel punto vi accorderete sul compenso. Un dubbio si attaccherà come una sanguisuga ai vostri pensieri visto che la SIAE, ad esempio in un locale dove c'è musica di sottofondo o si tengono concerti, o anche in quei luoghi pubblici dove si proiettano film, sarà comunque pagata per la serata da quella persona e a quel punto uno pensa, vabbè allora tanto vale registrarsi per usufruire anche dei compensi derivanti dalla trasmissione della propria composizione.

Il ruolo della SIAE è tutelare e gestire le opere regolarmente registrate, concedendo o autorizzando la loro utilizzazione o riproduzione, percependo per ciò un compenso da chi vuole usare per qualsiasi motivo questi prodotti artistici, ripartendo poi tra gli autori il denaro raccolto, tra le finalità vi sarebbe anche quella della valorizzazione degli autori minori che hanno meno risorse, un'utopia. Alla luce della situazione attuale quest'ultimo è uno degli elementi che deve far riflettere soprattutto la politica annebbiata che ha demandato ad un solo ente privato la tutela e la valorizzazione della cultura che dovrebbe agire, per le sue caratteristiche, da società pubblica, quando in realtà è lampante come l'interesse di pochi e navigati prevalga su quello della collettività. Nulla di nuovo sotto i cieli italiani.
Essa agisce in regime di monopolio, ciò significa che è l'unica società italiana formalmente riconosciuta che può svolgere questa funzione.

Nel consiglio di amministrazione sono più che rappresentate le major e gli editori mentre gli autori (che ovviamente sono solisti) hanno un minor peso, se non quasi nullo; in effetti ciò che ne consegue da questo tipo di management è una griglia con criteri di ripartizione dei compensi a dir poco ridicola, con aspetti burocratici (come l'annullamento di un borderò intero per un solo nome scritto male) o l'uso della ripartizione a campione (stilato dalla stessa SIAE e non da terzi) che sembrano essere creati ad arte per fare in modo di poter gestire una massa di denaro (640,5 mln di euro di ricavi nel 2006 e 11 milioni di attivo nello stesso anno) secondo una politica altamente discrezionale quando non nociva della maggior parte dei membri.

Un altro aspetto interessante è quello relativo all'esborso degli autori per iscriversi, per poi pagare una quota annuale e per ogni singolo pezzo depositato. Si tratta di cifre che visto le difficoltà dei ritorni dei diritti ai piccoli autori diventano un macigno, se non economico, quantomeno morale.

Fortunatamente in soccorso viene il mercato europeo, così ognuno può eventualmente tutelarsi con la tedesca GEMA, la francese SACEM, la spagnola SGAE, la SUISA svizzera. Si va dai 15 euro di iscrizione della SGAE ai 100 franchi (circa 67 euro) della SUISA fino ai 116 euro della SACEM.
Il consiglio è di chiedere, inviare email, informarsi per conoscere i costi d'iscrizione, di deposito delle canzoni, come e quanto viene ripartito agli autori, la SIAE su alcuni punti appare più che latitante, ed in molti lamentano l'inettitudine, quando non assenza, dei dipendenti delle segreterie.

Iscriversi però ad un'altra società non significa aver aggirato la SIAE, infatti se le proprie produzioni vengono utilizzate in Italia sarà sempre la SIAE, grazie ad accordi internazionali, a raccogliere i diritti, trattenerne una parte relativa ai costi di gestione, per poi girarli alle altre società straniere. Un passaggio in più non può che essere deleterio per l'autore.
Forse la vera e unica differenza tra la SIAE e le società straniere (dimenticando i costi di membership, burocrazia, deposito, bollino blu ecc...) è la sua inefficienza, sembra quasi essere un suo obiettivo e del resto è utile ed ideale per chi ha già un ruolo chiave nel mercato discogratico, editoriale.

Comunque sia se volete capirci qualcosa in più sul funzionamento dell'oligarchia italiana che gestisce e ripartisce i diritti d'autore italiani vi consiglio di guardare il documentario intitolato Il Sottofondo della Siae di Report spezzettato in diversi video qui di seguito.

Prima parte


Seconda parte


Terza parte


Quarta parte


Quinta parte


Sesta parte


Settima parte